di Patrizia Marchesini |
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Ersilio Mezzini, classe 1915, partì con il C.S.I.R. nel luglio 1941. Nel raccontare di Campagna di Russia, ci si rifà ai documenti ufficiali o si attinge alla vasta memorialistica sull’argomento. Nella maggioranza dei casi – però – si parla di località, di battaglie, dei disagi sopportati dalle truppe italiane, riferendosi ai reparti combattenti e non a quegli uomini, trascurati di solito dalla letteratura sull’argomento, che si occupavano dei nostri soldati quando essi più ne avevano bisogno, quando cioè venivano feriti ed era necessario far loro raggiungere l’ospedale da campo nel minor tempo possibile. Il testo seguente (pubblicato per la prima volta sul numero doppio 111-112 Notiziario U.N.I.R.R.), senza alcuna pretesa di essere esaustivo sul tema, cerca di fare conoscere l’operato di quanti, misconosciuti ai più, si adoperarono in tal senso. |
Il brano che segue è tratto da “Soldati nel fango – Storie e ricordi della Campagna di Russia”, Cleup, Padova, 2008. Il libro, uscito postumo, è di Amelio Marcassa, sottotenente del 79° Reggimento – Divisione Pasubio
(Autunno 1941, n.d.t.)
Il portaordini parla con un nostro ufficiale superiore, pochi minuti; poi se ne va, avvolto da una miriade di schizzi di melma. Mentre stiamo incitando: Oooop! Oooop! Ecco farsi avanti una grossa schiera di soldati gravati da un carico insolito, oltre allo zaino regolamentare e all’armamento in dotazione. È una delle nostre compagnie che trasporta, a spalla, l’intera attrezzatura dell’836° Ospedale da Campo e del 25° Nucleo Chirurgico.
Materassi, lenzuola, coperte, vasi da notte, tende, carrettini, bidoni di acqua sterilizzata, di viveri di conforto, ed una infinità di scatoloni di medicine, di attrezzature chirurgiche, di bende, di cento cose necessarie in un ospedale militare che debba funzionare ed operare d’urgenza
Tutto è portato a spalle. “Avanti! Avanti, figlioli! Avanti, ché a trenta chilometri i bersaglieri si sono scontrati con retroguardie russe e hanno avuto parecchi morti e feriti! Coraggio, mettetecela tutta, ogni minuto di ritardo può significare la morte per dissanguamento di qualcuno!”
Tutti incitano, riescono persino ad offrire sigarette, così rare. Avanti!
Ci spostiamo da una parte per lasciar via libera all’insolita fila stracarica fino all’inverosimile, che procede più speditamente che può, affondando nella melma fino a metà gamba.
Una fatica sovrumana, ma i forzati si superano l’un l’altro, si sfiniscono, sostano un attimo per riprendere fiato, s’avviano nuovamente nella marcia pietosa. Ognuno vorrebbe essere il primo a offrire ai bersaglieri l’aiuto del fratello fante. La lunga fila di nere formiche portatrici si allontana verso est, si fa sempre più piccola, sbiadita, e quindi scompare.
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A Cargnacco, tra le altre, c’è una lapide.
La dedica recita: Il tuo ricordo sarà sempre con noi. Tua moglie e la tua piccina.
La piccina è Maria Teresa, una signora instancabile nel cercare di ricostruire gli ultimi giorni del padre, Ersilio Mezzini. Ersilio, classe 1915, era un barelliere portaferiti dell’Ospedale da Campo mobilitato n. 836, in forza alla Divisione Pasubio. Della sua permanenza in Russia rimangono tantissime lettere, indirizzate alla moglie, e alcune foto. Altre immagini e testimonianze Maria Teresa è riuscita a procurarsele nel corso degli anni – con perseveranza ammirevole – dopo avere rintracciato le famiglie di alcuni compagni di Ersilio. Tutto ciò le è stato prezioso per conoscere un papà partito nel 1941 con il C.S.I.R. quando lei era piccolissima.
I documenti ufficiali sono utili per seguire il percorso dell’Ospedale da Campo 836 – e quindi ora è noto che il giorno 20 agosto 1941 l’ospedale era impiantato e funzionante a Pocroskie (n.d.t.: Pokrovs’ke?) – ma non aiutano più di tanto a capire quale fosse la vita di un portaferiti. Le lettere di Ersilio sono invece fonte di dettagli importanti. Raccontano di spostamenti continui e faticosi, dell’assistenza ai nostri soldati, le cui necessità vengono prima di ogni altra cosa.
Per raggiungere il campo di battaglia, i portaferiti viaggiano su camion – contrassegnati da una croce rossa – al fine di raccogliere i feriti il più in fretta possibile, onde evitare la morte per dissanguamento durante l’estate e il congelamento in inverno. Una volta, scrive, poiché non c’erano più barelle disponibili, è costretto a trasportare i feriti a braccia, cercando – in alcuni casi – di mantenere unite al corpo le parti sul punto di staccarsi. C’è la consapevolezza di avere contribuito a salvare tante vite, ma anche il dolore immenso nel rivedere poi quei soldati privi di un arto o ciechi. Descrive la sua divisa macchiata di sangue. Nessuno si cura del suo aspetto e, ancora meno, del suo equilibrio mentale. Occorre solo fare il proprio dovere e non farsi prendere dall’emotività.
A metà novembre 1941 l’ospedale arriva a Dnepropetrovsk, ma la sosta è di breve durata. La rasputiza – il fango dovuto alle piogge autunnali – ha creato problemi enormi al Corpo di Spedizione italiano. Ersilio parla di una lontananza di quaranta giorni dalla divisione, dell’aiuto prestato per liberare i camion dallaLa rasputiza melma, delle difficoltà nei rifornimenti e della generosità delle donne russe nel condividere il cibo, della malinconia per essere rimasto tanto tempo senza posta da casa.
Passa l’inverno, l’Ospedale da Campo n. 836 si trova a Gorlovka, dove rimarrà fino a giugno 1942. Un’immagine mostra un paesaggio piatto e innevato. Sullo sfondo alcuni edifici, in primo piano una croce nera, alta. Un gruppo di sagome scure, a capo scoperto e con il bracciale della sanità, è in piedi tra le croci più piccole, ognuna con il suo elmetto.
Inverno 1941-1942, Cimitero di guerra italiano; al centro, con il bracciale da portaferiti, Ersilio Mezzini – Originale di Ersilio Mezzini Un’altra foto – siamo in primavera, ormai la neve non c’è più – ci rende spettatori del funerale di un ragazzino russo, raccolto da Ersilio dopo un bombardamento a opera dei sovietici.
Nell’aprile 1942 il portaferiti Mezzini viene promosso infermiere-capo del reparto di II Chirurgia. Il diploma e la specializzazione gli vengono attribuiti per l’esperienza acquisita sul campo.
Con l’estate riprende il movimento verso est. La Divisione Pasubio avanza e l’Ospedale da Campo la segue. Dai documenti, il 22 luglio l’ospedale risulta impiantato a Krasnaja Poljana. Ersilio scrive spesso, dice che in otto giorni di marcia sono stati costretti a montare e rismontare l’ospedale cinque volte.
Il 31 luglio passano il Donez. Arrivano i combattimenti della Prima Battaglia Difensiva del Don: l’infermiere Mezzini è responsabile da solo di una ventina di feriti, molti dei quali hanno bisogno di assistenza continua. Dalle sue parole trapela la stanchezza, ma ancora di più il dispiacere di vedere soffrire quei “cari fanti”.
Il capitano dell’Ospedale da Campo 836 legge a Ersilio una relazione da inviare al Comando della Pasubio: in essa viene elogiato il suo comportamento. Il capitano gli dice che, dopo tanto impegno e poiché è al fronte da più di un anno, si è guadagnato l’avvicendamento e presto tornerà a casa.
Durante il mese di settembre giungono in Italia solo dieci lettere: Ersilio scrive poco, i feriti di cui occuparsi sono numerosi. Quando gli è possibile spedisce la posta per via aerea, come del resto fa sua moglie, in modo da fargli ricevere notizie dall’Italia nel giro di sei o sette giorni. Il 30 settembre 1942 l’Ospedale da Campo n. 836 è dislocato a Krushilin (n.d.t.: Kružilinskij) e il 17 ottobre ripiega in località non specificata.
È stato un periodo difficile, altrettanto difficile è sopportarne il pedaggio. Ersilio – stanco e avvilito – patisce la lontananza dalla famiglia, soffre nel vedere il dolore altrui. Ma ormai è sicuro di essere rimpatriato, ha letto la circolare riguardante i vecchi del C.S.I.R. e conferma che presto raggiungerà il Comando di Divisione, dove chi ha diritto all’avvicendamento verrà separato da chi, invece, dovrà rimanere ancora in Russia.
Il 25 ottobre 1942, insieme ad altri compagni, è in attesa dei camion, grazie ai quali verrà raggiunta la stazione ferroviaria, a una sessantina di chilometri dal luogo – non specificato – in cui si trova. Intanto, il 30 ottobre, l’Ospedale da Campo n. 836 ripiega a Radčenskoe e lì rimarrà presumibilmente fino al ripiegamento.
Ma questi ultimi spostamenti non riguardano Ersilio che, con gli altri aventi diritto all’avvicendamento, alloggia nelle case dei civili e finalmente può riposare. L’unica occupazione è procurarsi la legna per la stufa: comincia a fare freddo e bisogna alimentarla con regolarità. Nella lettera del 7 novembre esprime la speranza di partire il 15 del mese. Altri reparti sono già stati avvicendati, il capitano ha avuto il cambio. Tutti avevano già avvisato la famiglia di non mandare più posta, ma a quanto pare le cose vanno per le lunghe.
Il 28 novembre l’inverno mostra i denti. Nevica e c’è aria di tempesta. Fuori la visibilità è quasi nulla, però dentro le abitazioni dei civili si sta bene. Il nuovo capitano rassicura tutti: i complementi stanno arrivando, ma Ersilio è inquieto e scrive di non aspettarlo per Natale. Il 5 dicembre giunge un ordine dalla Divisione Pasubio. Occorre segnalare il numero dei soldati da rimpatriare. Dovrebbe essere la volta buona. Tutti gli ufficiali sono già partiti, meno uno. C’è anche un cappellano nuovo, Don Franzoni, assegnato all’Ospedale da Campo 837.
L’attesa prosegue. Siamo ormai al 9 dicembre e, insieme ai cumuli di neve, cresce anche l’apprensione nel sentire sempre più vicino il rombo delle artiglierie.
L’ultima lettera portava la data del 13 dicembre 1942. La moglie purtroppo la consegnò a qualcuno anni e anni fa, nella speranza fosse utile per le ricerche. E il tempo, a volte così imparziale nel rimuovere sia le inezie sia le cose importanti, ha cancellato il ricordo di quanto vi era scritto.
A Maria Teresa sono arrivate voci.
Nelle note di Don Armando Covili e del Tenente Medico, Dottor Lino Smerieri, il padre risulta non tornato dalla prigionia.
Il 18 dicembre 1942 – durante il ripiegamento della Pasubio – un ufficiale italiano fece scendere tre soldati da un camion. Uno dei tre – Giovanni Pasquini – riuscì a tornare in Italia. La moglie di Pasquini – nel luglio 1943 – scrisse una lettera alla moglie di Ersilio, descrivendo l’episodio e specificando che Ersilio era rimasto sull’automezzo.
Un primo Verbale di Irreperibilità – datato 6 settembre 1943 ed emesso dal Distretto Militare di Bologna – riferisce che Ersilio Mezzini scomparve a Čertkovo durante il ripiegamento del reparto in data 18 dicembre 1942. La stessa data, però, fu riportata nei documenti di quattro suoi compagni che, invece, tornarono in Italia dopo tre anni di prigionia.
Un secondo Verbale di Irreperibilità – emesso dallo stesso Distretto in data 27 giugno 1946 – dichiara Ersilio Mezzini scomparso in occasione di combattimento avvenuto in Russia nel gennaio 1943.
Maria Teresa non si arrende. Una volta, mentre parlavamo al telefono, ha consentito per un attimo all’amarezza di prendere il sopravvento: nel foglio matricolare l’unica nota riguardante la permanenza del padre al fronte russo – eccetto la data di presunta scomparsa – è del 30 agosto 1942 e menziona il pagamento di 365 lire, un premio in luogo di trenta giorni di licenza non fruita.
Foto dal fronte russo
Archivio fotografico di M.T. Mezzini