La ricerca della documentazione

di Luciano Arduini

Fin da bambino la storia dello zio Luciano, almeno quella conosciuta fino a quel momento, mi colpì profondamente e tutte le volte che ne sentivo parlare da mio nonno o dai miei genitori rimanevo a bocca aperta ad ascoltare quel racconto intriso di dolore, delusione e allo stesso tempo speranza di poter avere qualsiasi notizia di quel soldato partito per la Russia e non più ritornato, se non addirittura cullare l’illusione di poterlo un giorno riabbracciare.

Più di una volta mio nonno nel parlarne si commuoveva dicendomi di vedere in me, nel mio aspetto fisico, le sembianze del fratello. Si disperava di non aver più saputo nulla e imprecava e malediceva tutti i politici responsabili di quella tragedia. Nel mio immaginario di bambino sognavo, una volta diventato adulto, di partire per la Russia assieme al nonno, cercare lo zio, ritrovarlo e portarlo a casa. Purtroppo erano solo sogni di bambino anche se alimentati dai continui riferimenti degli adulti che immaginavano o speravano che tutti quei dispersi fossero ancora vivi e chissà magari avevano intrapreso una nuova vita in quel Paese così lontano. Queste fantasie erano anche alimentate dal cinema che aveva dato ampio spazio alla campagna e alla ritirata di Russia.


ASSOCIAZIONE CADUTI E DISPERSI MANTOVA, FOTO DI DISPERSI


Mi aveva in sostanza investito della responsabilità di custodire la memoria del fratello e di continuare, in qualsiasi modo, a ricercare e a far luce sulle vicende riguardanti il fratello. Non sono mai venuto meno all’impegno e alla promessa fatta al nonno quel giorno. Il nonno morì, come ho già raccontato, nel luglio 1992 e il 2 dicembre dello stesso anno mi fu recapitata la lettera emessa dal Ministero della Difesa il 21 novembre 1992, in cui si dichiarava ufficialmente la data di cattura, luogo e data di morte, di Luciano che da quel momento non era più considerato disperso ma caduto in prigionia. Questa circostanza confermò in me la convinzione e la consapevolezza che ormai era giunto il tempo di agire, dovevo assolutamente avere più notizie possibili degli ultimi anni di vita dello zio.

Una prima considerazione che feci, alla lettura della missiva, riguardava la veridicità della sepoltura del nostro congiunto in una fossa comune unitamente a caduti di altre nazionalità, speravo ardentemente che a seguito di ulteriori accertamenti ciò non rispondesse a verità e quindi poter rimpatriare i resti dello zio. Purtroppo questo desiderio, come vedremo più avanti, non si verificò. Avevo altresì apprezzato l’intenzione del Commissariato Generale di erigere dei cippi commemorativi, una volta localizzate con precisione le aree di sepoltura, ma anche questa seconda eventualità, non si verificò.


COMUNICAZIONE DELL’ALBO D’ORO SULLA CATTURA E LA PRIGIONIA


Un accertamento che feci immediatamente fu la ricerca della posizione sulla cartina di un atlante della località di Fosforitni ma ahimè, senza esito positivo quindi mi rivolsi all’Associazione Combattenti e Reduci di Buscoldo, precisamente al Presidente Signor Bigi Livio che inviò una richiesta scritta per chiarimenti, alla sede provinciale di Mantova dell’Associazione stessa. Purtroppo la risposta del marzo 1993 non fu del tutto pertinente in quanto il campo-ospedale n.3007 veniva associato erroneamente alla località di Voronizza Chioroff. Mi veniva inoltrato anche l’invito a presenziare l’inaugurazione a Buscoldo del nuovo monumento dedicato ai caduti della seconda guerra mondiale comprendente quindi anche il nome di Luciano. Dallo stesso anno risulto iscritto alla locale sezione dell’Associazione Combattente e Reduci come simpatizzante.




Nel 1995 l’associazione stessa, in occasione del 50° anniversario della fine del II° conflitto mondiale mi ha consegnato un Attestato di Benemerenza intitolato al soldato Carnevali Luciano.

Nel frattempo avevo appurato che la località di  Fosforitni (vedi Fosforitnaya) si trovava a 1200 km a nord-est di Mosca, ai piedi dei Monti Urali, quindi molto distante dai luoghi di combattimento dei reparti italiani. A quei tempi, internet e le sue numerose applicazioni, non avevano ancora trovato larga diffusione e le pubblicazioni esistenti, riguardanti la campagna di Russia trattavano, quasi esclusivamente le vicende delle divisioni alpine per cui il mio desiderio di approfondire le vicende dello zio subirono un inevitabile arresto.

Anche per questo motivo faticai molto a rintracciare pubblicazioni riguardanti direttamente il reggimento di appartenenza dello zio, il 120° Artiglieria Motorizzato, e di tutti i reparti che combatterono nel settore sud del fronte, vale a dire le Divisioni “Celere”, “Torino”, “Pasubio” e “Sforzesca”. Nel novembre del 1998 l’ingegnere e giornalista Gino Papuli, autore del libro “Il labirinto di ghiaccio” edito da Thyrus nel 1991, reduce del 120° Reg.to Artiglieria Motorizzato, scrive una lettera allo scrittore e allora giornalista RAI, Arrigo Petacco, a seguito della pubblicazione del suo libro “L’armata scomparsa”, stigmatizzando il taglio della pubblicazione stessa che contribuiva “a diffondere un equivoco di cui erano soprattutto responsabili i mass-media poco informati, secondo i quali la campagna di Russia fosse stata combattuta soltanto dagli Alpini. Senza nulla togliere al valore di questi soldati, la verità storica e le esigenze di giustizia imponevano che si tenesse conto anche degli altri due Corpi d’Armata che costituivano la presenza italiana su quel fronte.” (Lettera ad Arrigo Petacco di Gino Papuli  1998)

Il quotidiano La Stampa pubblicò nel gennaio 2003 un articolo a firma di Gino Papuli dal titolo: “Quell’ordine assurdo alla colonna Carloni: fermate i Russi” in cui vengono riportate appunto le vicende nella difesa della città di Pawlograd, ultimo combattimento sostenuto sul fronte russo da soldati italiani e che si rivelò fatale, purtroppo, anche per Luciano.
Gli impegni di lavoro e la mancanza di riscontri certi impedirono, purtroppo per diversi anni, di compiere passi in avanti nella ricerca della verità sugli ultimi mesi di vita dello zio, fino al 2010 quando scoprii per caso un sito internet che riguardava, finalmente, in maniera esclusiva il 120° Reggimento Artiglieria Motorizzato.
Vi fu subito dopo la consultazione del sito, una fitta corrispondenza di email e di telefonate con il curatore del sito stesso, Signor Omar Achille Di Leonardo di Roma, che mi suggerì come procedere per l’acquisizione di nuova e necessaria documentazione.
Tramite il Distretto Militare di Verona riuscii ad avere copia del foglio matricolare del caduto e contemporaneamente venni in possesso del libro “Il Labirinto di ghiaccio” di Gino Papuli, ufficiale reduce del 120° appartenente al II gruppo, lo stesso dello zio.


VERBALE DI IRREPERIBILITÀ


Lo studio del foglio matricolare ha permesso di ricostruire tutte le vicende militari dalla visita di leva, al servizio militare, i successivi ripetuti richiami, l’invio in Russia e la constatazione della data esatta e della circostanza in cui lo zio venne dichiarato disperso, appunto il 17/02/1943 dopo la battaglia di Pawlograd.
La lettura del libro mi permise di ricostruire tutte le vicissitudini, con dovizia di particolari, degli ultimi mesi di vita dello zio dall’inizio della ritirata, dicembre 1942, fino alla battaglia suddetta che scoprii fu appunto l’ultima battaglia combattuta da reparti italiani in Russia con riferimenti espliciti alla batteria di Luciano.
La soddisfazione, ma anche l’angoscia, nel conoscere tali vicende, furono notevoli, tuttavia, man mano si procedeva con la conoscenza si chiudevano degli interrogativi ma se ne aprivano di ulteriori. L’enigma più importante che si poneva a questo punto era il seguente: se il soldato Carnevali Luciano classe 1910, fu dato per disperso il 17/02/1943 a Pawlograd, (città situata in Ucraina) e la documentazione ufficiale del Ministero della Difesa aveva dichiarato che il soldato stesso fu fatto prigioniero il 16/04/1943, internato nell’Ospedale n.3007 a Fosforitni (località ai piedi dei Monti Urali) dove risultava deceduto il 20/04/1943, ma in quei due mesi, cioè da febbraio ad aprile Luciano dov’era, come aveva vissuto, come poté raggiungere una località così lontana dal luogo delle ostilità (distante in linea d’aria circa 2000 km) per poi morire soltanto 4 giorni dopo? Era evidente che i dati non erano più coerenti e bisognava assolutamente fare chiarezza in quello spazio temporale di due mesi. Se da un lato avevo chiarito tutta la vicenda militare dalla partenza per la Russia fino alla non reperibilità, dall’altro lato non avevo nessuna conoscenza e certezza di avvenimenti dal 17 febbraio fino al 16 e 20 aprile.

Mi vennero in aiuto altri libri e naturalmente internet dove scoprii il sito dell’UNIRR, Unione Nazionale Italiana Reduci della Russia. Il volume dal quale ho attinto più informazioni è stato “I Prigionieri Italiani In Russia” di Maria Teresa Giusti ed. Il Mulino del 2014, fondato su materiale inedito proveniente dagli archivi ex sovietici e sulle testimonianze dei pochi sopravvissuti, raccontando il destino dei militari italiani fatti prigionieri. Anche il “Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia” dell’Unirr mi è stato utile al fine di ricostruire il terribile calvario subito dai nostri soldati fatti prigionieri, dal momento della cattura, alle massacranti marce del “davaj” verso i primi centri di raccolta e all’internamento nei lagher dopo lunghi e disumani viaggi per ferrovia effettuati con carri merci.
Ho contattato anche, via email, “Onorcaduti” del Ministero della Difesa per esprimere le mie perplessità riguardo alla non congruenza delle date, ricevendo in risposta ampia documentazione sul luogo di sepoltura, il verbale di irreperibilità redatto nel maggio del 1943 e la conferma della mancata costruzione di un cippo commemorativo a causa del terreno paludoso. Si avanzava anche, dalle stesse autorità italiane l’ipotesi che la data del 16 aprile fosse dovuta ad un possibile errore di trascrizione del personale Russo incaricato della registrazione, ma si confermava la data del decesso e l’inumazione in una fossa comune.

La visita al monumento-sacrario di Cargnacco (Udine), costruito nel dopoguerra a ricordo di tutti i dispersi e caduti della campagna di Russia, avvenuta nell’estate del 2015, rappresentò pure una tappa importante in quanto mi permise di acquisire ulteriori testimonianze scritte da parte dei reduci.  


Dal sito dell’Unirr infine scoprii che era possibile inoltrare ad una associazione Russa a Mosca, “I Memoriali Russi” l’equivalente della nostra “Onorcaduti”, richiesta di documentazione riguardo ad un proprio congiunto già dichiarato prigioniero. Inviai in agosto 2015 l’email con tutti i riferimenti anagrafici dello zio, all’Associazione Russa, fiducioso di ricevere risposta anche se non in tempi brevi.
Dopo qualche mese di attesa, quando cominciavo a perdere le speranze, ecco che il 30 novembre 2015 arrivò la tanto attesa risposta da Mosca, scritta in caratteri cirillici. L’emozione fu veramente tanta nel vedere quelle scritte a me incomprensibili, ma speranzoso finalmente di poter risolvere qualche dubbio.

Corsi immediatamente da una persone di mia fiducia di origine Russa per la traduzione ed ecco che finalmente tutti i tasselli andarono a posto. In definitiva le autorità russe erano in possesso di un documento di registrazione dove erano riportati i dati anagrafici dello zio, con la data di arrivo al campo n. 3007 (16/04/1943), la data di morte (20/04/1943) ed il motivo della morte. Quindi il soldato Carnevali Luciano non fu fatto prigioniero il 16 aprile ma bensì arrivò al campo-ospedale in quella data per poi morire 4 giorni dopo, per cui la data di cattura è ragionevolmente da considerare il 17 febbraio 1943, data in cui fu dichiarato irreperibile dalle autorità italiane.
Infine a febbraio di quest’anno, tramite un prestito interbibliotecario, dalla biblioteca civica di Albenga (Savona), ho potuto leggere il libro, introvabile in qualsiasi altro modo, “Attendimi: diario di un medico prigioniero in Russia 1942-1946” di Donato Guglielmi ed. Elpis 1982 che descrive il lagher-ospedale di Fosforitnj e di avere puntuale riscontro con le date e le circostanze di mia conoscenza.
La soddisfazione di aver chiarito tutte le circostanze del periodo di permanenza dello zio in Russia è stata enorme, sicuramente mio nonno Roberto ne sarebbe stato molto fiero. Rimane il rammarico di non aver potuto ancora deporre un fiore sul luogo di sepoltura (a Fosforitnj c’è un luogo di sepoltura che corrisponde a quanto riportano i documenti e vi sono già dei cippi di altre nazionalità).

In agosto del 2016 sono andato molto vicino a ciò, raggiungendo infatti in motocicletta, con mia moglie, la Russia fino a Mosca ponendo le basi affinché questo desiderio possa realizzarsi al più presto e rendere finalmente il giusto tributo “all’eroico caduto”.


la “storia” di Luciano

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la “storia” di Luciano, la Ricerca dei documenti


  • Elaborazioni grafiche a cura del sito centoventesimo.it
  • Elaborazione dei documenti e costruzione mappe a cura di Michele Beccari sito buscoldo.it

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