Al telefono con Giuseppe Bassi

di Achille Omar Di Leonardo

Villanova, 17 febbraio 2007
Il testo che segue è la trascrizione dell’incontro avvenuto a Villanova (PD) nella casa dell’allora Sotto Tenente Bassi.

Si è partiti dalle foto di mio zio, Achille Di Leonardo, per ripercorrere le tappe delle vicende del 120° Reggimento artiglieria motorizzato e della campagna di Russia legata al Bassi. Spesso il testo subisce interruzioni e divagazioni a causa dell’informalità dell’incontro che non aveva lo scopo di vera intervista ma semplicemente un’occasione per conoscere da vicino un reduce del fronte russo.

Attraverso l’analisi delle foto provenienti dal fronte di guerra, si è cercato di ricostruire parte della vita al fronte da soldato Achille Di Leonardo classe 1921 disperso in Russia.

Si comincia a parlare della situazione dopo lo sfondamento sul Don e a tracciare delle ipotesi sulle modalità della cattura dei soldati del 120°.

…nel mese di dicembre 1942 avviene la rottura del fronte con la conseguente ritirata dell’armata italiana. Il fatto portò alla disgregazione del fronte che comportò cento mila dispersi. Quando i soldati dell’armata raggiunsero Gomel ci fu la radunata e il riordino delle varie divisioni con i loro superstiti. In marzo poi partirono definitivamente per l’Italia .

Quindi a marzo possiamo considerare che abbiano fatto un controllo e mio zio, non risultando tra i presenti, venga considerato disperso?
La campagna di Russia si é risolta, in un certo qual modo, in questi termini. Eravamo 220.000, tolti quelli che erano presenti a Gomel, ce ne sono 140.000, quindi… circa 80.000 risultavano dispersi.

Visto che lei era stato fatto prigioniero, era stato considerato disperso almeno in un primo momento?
Si, in un primo tempo ero anche io considerato un disperso perchè la Russia non dava notizie.
È avvenuto anche questo: molti soldati sono rimasti nelle retrovie e si sono dispersi nella vasta zona. La “conta” quindi è stata fatta tra i presenti. Io ho sempre sostenuto che era difficile riuscire a fare una stima perché chi mai ha preso nota di quei soldati che, per esempio come me, sono arrivati in Russia a dicembre (1942 ndr)?
Io sono partito da casa il 3 dicembre perchè ero venuto in licenza premio per un mese. Giunto in zona mi sono affrettato per raggiungere il fronte. Potevo benissimo starmene in Italia, a Tarvisio, al comando tappa Italiano per la Russia, in attesa che arrivasse non il mio convoglio, nessuno se ne sarebbe accorto, mi ero insediato in ufficio a scrivere, di certo non sarei stato senza far nulla. Mi ero fermato lì e il comandante mi chiese persino perchè avessi tanta fretta ad andare al fronte, io però ero ansioso di raggiungere il mio reggimento e quindi mi avviai. Sono arrivato il giorno 9 dicembre in linea, per due o tre giorni sono andato a raccontare dell’Italia agli amici delle batterie che mi invitarono a mangiare con loro.

Quali sono state le tappe del suo rientro dalla licenza?
Dal 3 al 9 (dicembre 1942 ndr.), sono arrivato a Millerowo, comando tappa in Russia, dove si assegnavano le direttive per il fronte.

Tutti facevano riferimento al comando di Millerowo?
No, quelli – come noi del 120° – che facevano parte della Celere, della Torino e della Pasubio.

Possiamo considerare che in quella località ci fossero gli uffici preposti al comando?
Si, c’erano i comandi della Celere. Quindi, come dicevo, avrei potuto benissimo rallentare il mio trasferimento ma quando ho visto che un camion del mio reggimento era in partenza, l’ho preso al volo. Sapevo che i miei amici erano schierati sul Don ed avevo desiderio di raggiungerli al più presto.

Quindi quando era andato via per la licenza dove li aveva lasciati?
Sempre sul Don ma in un’altra località, nella zona di Serafimovich, avevano però cambiato posizione, lo schieramento era stato fatto in maniera diversa. C’erano stati altri combattimenti dopo quello di Serafimovich per cui, il comando della Celere, aveva spostato il mio gruppo di artiglieria in un altro posto.

Tornando indietro, il 120° quando comincia il combattimento? Arriva in Russia a febbraio…intorno al 15…
Si, in marzo eravamo già in linea sullo schieramento di Orlowo-Ivanowka, abbiamo fatto circa 600km per arrivare al Don. Dal fronte invernale, che toccava la zona di Stalino, (eravamo a molti km da Stalino che era alle nostre spalle) quella della Celere, percorremmo appunto centinaia di chilometri prima di arrivare sul fronte del Don.

La battaglia di Serafimovich é avvenuta in luglio del 1942.
30 e 31 luglio 1942, due giorni di seguito. Abbiamo debellato una brigata di 39 carri armati russi, sono saltati fuori tutti quanti insieme. Dopo averli arrestati ci siamo divertiti ad andarli a vedere in un secondo momento.

A questo proposito ho un testo su Serafimovich, uno stralcio dal diario di reggimento. Immagino che abbia partecipato anche lei a stilare il rapporto.
Al mio ritorno ho scritto delle cose che mi hanno pubblicato. In quella occasione sono stato particolarmente fortunato perchè avevo l’elmetto. Li abbiamo sentiti nel loro sferragliare che avanzava verso di noi. I tedeschi ci avvisarono che avremmo dovuto piazzarci e tenerci pronti per fronteggiarli. A un certo punto abbiamo avuto la sensazione che stessero proprio raggiungendo la nostra postazione. Io ero attorno al tavolino per mettere apposto le tavole per dirigere i tiri alle batterie, eravamo al comando di gruppo, pattuglie avanzate per dare le coordinate alle batterie. Stavamo quindi piazzando l’occorrente per mettere, sistemare, le carte e regolare il goniometro. Il mio comandante si volta, mi guarda, e nota che sono senza elmetto e mi dice “Bassi, ma lei non indossa l’elmetto”. Tutto quello che stavamo scaricando da sopra un camion era a dieci metri da noi. Al suo appunto mi sono spostato di quei dieci metri per andare a recuperare l’elmetto. Il primo carro, che era arrivato, notando il movimento dietro la baracca nella quale eravamo appostati, ha sparato un colpo sulla postazione. Io, per fortuna, mi ero già spostato verso l’autocarro a prendere l’elmetto per cui non fui coinvolto dall’esplosione.

Quindi fortunato di non avere l’elmetto!
Esattamente!

Qual é stata la sorte degli altri!
Il comandante ha perduto una gamba e il sergente Castelli é morto insieme ad altri due artiglieri. Ci sono stati anche altri tre o quattro feriti che erano con me prima che io li abbandonassi per andare sul cassone. Se avessi avuto l’elmetto sarei stato quasi certamente coinvolto anch’io.

Mostro delle foto, le solite in mio possesso riguardanti mio zio

Questo é un pezzo d’artiglieria da 20 mm

Un pezzo contraerei dove in quale zona era più probabile che venisse piazzato? A Stalino piuttosto che in un’altra zona?
Si, forse a Stalino o comunque a protezione di centri abitati!

Consegno il testo sulla battaglia di Serafimovich e Bassi legge di Guglielmi…

Guglielmi! me lo ricordo benissimo. Era con noi!… il generale Du Pont, comando di artiglieria…

Chi aveva il diario di reggimento?
Il tenente… era… proprio del mio gruppo… Ghibelli! Era lui che aveva il diario, il capitano Ghibelli…

Questo vuol dire che il diario é stato salvato!?

Comunque può essere benissimo che il secondo gruppo abbia trasportato il diario in patria. La cosiddetta Colonna Carloni (Carloni era il comandante del 6″ Reggimento Bersaglieri, poi arruolatosi nella RSI e non ha avuto i riconoscimenti che avrebbe meritato) ha fatto tutt’altro percorso rispetto al nostro, più a sud. Ha attraversato un percorso di moltissimi km, salvandosi. Nel gruppo sud c’erano anche i bersaglieri ed ebbero la “fortuna” di avere gli automezzi. Un nostro gruppo di artiglieria, il secondo gruppo di artiglieria del 120°, si é potuto salvare anche per questo motivo.

Quindi i gruppi del 120° si sono separati.
Il secondo gruppo non era con noi quando siamo stati travolti.

Così voi non operavate insieme.
I gruppi potevano essere spostati a seconda delle esigenze. Il secondo gruppo aveva pezzi da 88 (mortaio da 88 ndr) anziché da 100 (cannoni da 100/17 ndr.) quindi poteva fronteggiare benissimo i carri armati.

I pezzi da 88 quali caratteristiche avevano?
Invece che 100 erano da 88mm, i nostri 100/17 avevano le ruote di ferro, gli 88 erano piú moderni. Gli artiglieri del secondo gruppo erano parte di un gruppo che si era rinnovato: il 30 e il 31 luglio era stato travolto dai carri armati per cui era stato rifornito di nuovi pezzi per la ricostruzione del gruppo.

Da dove venivano questi nuovi pezzi?
Dai magazzini delle retrovie dove erano depositati i materiali. Il secondo gruppo é stato fortunato, seguendo i bersaglieri del gruppo Carloni, combattendo con armi “adeguate” sono riusciti a sfuggire. Hanno dovuto combattere per tutto il mese di gennaio, intendiamoci non è stata mica una passeggiata. Quando gli alpini erano stati già coinvolti, la “Colonna Carloni ” combatté al fianco insieme ai tedeschi e il quel caso i tedeschi non dicevano loro che “erano casinisti” (in una precedente intervista Bassi parlò di un incontro con i tedeschi uno dei quali gli riferì questa frase “voi italiani siete tutti dei casinisti” ndr) avevano le artiglierie e riuscivano a resistere.

Ho letto da qualche parte che in effetti il blocco sud era più “strutturato” rispetto a quello nord.
Avevano sfondato da noi (Divisione Celere ndr.) sul Don, mentre gli altri reparti (le divisioni alpine ndr.) avevano resistito. Non tutta la nostra armata era stata travolta, qualcuno aveva abbandonato, indenni, le posizioni sul Don.

Non abbiamo parlato ancora del terzo gruppo, qual é stata la sorte di questo gruppo?
Il terzo non so che percorso avesse fatto, forse non era stato coinvolto, ricordo solo delle sorti del primo e del secondo che ha avuto la “fortuna” di rientrare in Italia.

Gli autisti. Mio zio era, pare, un valido autista di un 626 e per questo motivo ha avuto un encomio.
Leggo che è stato concesso in settembre.

Legge l’encomio

Agosto é stato un mese tremendo, prima il 30 e 31 luglio a Serafimovich poi il mese di agosto, combattimenti per tutto il mese, sempre nella zona del Don. Ci spostavano spesso.
A Jagodnj ci capitò di doverci spostare d’urgenza per via della Sforzesca, denominata divisione “cicai”, che vuol dire “che fugge”, che aveva lasciato aperto parte del fronte. A quel punto fummo richiamati per coprire la falla.

Si passa a parlare delle foto

Potrebbe riuscire a localizzare il posto dove é stata scattata questa foto, secondo il suo parere, considerando che una mitragliatrice contraerei poteva essere piazzata nei pressi di un centro abitato?
Beh, è molto difficile da dire quale zona fosse, chi può mai dirlo!

Foto dell’esperienza in Russia ne ha?
Di foto ne ho moltissime, abbiamo fatto una mostra fotografica che si può postare ovunque.

Si commenta la foto con il 1100

Queste macchine da civili, ve le “portavate dietro” nel territorio russo?
Questa era la macchina del Comandante di reggimento.

Si torna sulle foto del Bassi

Come le ha avute queste foto?
Sono foto che ho raccolto, non sono tutte mie, qui per esempio ci sono gli alpini, questa è la caserma Piave.

Quella di Padova che ospitava il 120° artiglieria?
Si.

C’è una foto di mio zio che spedì da Padova dove si intravede una caserma, probabilmente una nuova costruzione della Caserma Piave.
In questa foto (quella del 626), sullo sfondo, si vedono un’isba e dei soldati di cosa si tratta?
Deve essere un’isba adibita a comando, in questa foto noto che sul 626 c’è la scritta del 120° apposta sullo sportello, poi leggo anche Tara – Portata, questi erano i nostri camion, belle queste foto!

Qui è ritratto mentre lavora ad una testata del 626.
Quest’altra foto invece mi aveva tratto in inganno, possono sembrare piramidi, all’inizio pensavo forse Africa invece poi mi sono accorto che sono tetti di isbe.
NO! Questi sono cumuli di carbone che c’erano in Ucraina.

Lei mi sta dicendo una cosa nuova, è una notizia che ribalta tutto il significato della foto.
I cumuli di carbone avevano la forma di una piramide a quattro lati, una piramide a tutti gli effetti. Nella zona del Donbas ce n’erano un’infinità.

Come mai sulla sommità si vede come una sorta di camino?
In realtà non si tratta di camini.

Si continua con la visione delle foto, il Bassi nota una scritta dietro una foto di due ragazze russe. Si tratta di una frase celebre di Mussolini. Un motto fascista. Il Bassi sorride e commenta.

Vincere, Vinceremo… Come si usava dire all’epoca

Su questa frase c’è una storia curiosa. La foto ritrae due ragazze russe che mio zio deve aver conosciuto in Ucraina, la cosa curiosa è che la frase scritta dietro non è stata scritta da lui, si tratta di una grafia comunque di famiglia che si ritrova anche in altre foto, ma non scritta da lui.
Leggo fronte russo 1941, addirittura!

È proprio lì la stranezza, in realtà mio zio è partito con voi a febbraio 1942, quindi non avrebbe potuto mai sbagliarsi nello scrivere una data diversa. Pochi giorni fa ho avuto la conferma che la grafia non era la sua ma di qualcuno comunque di famiglia, ho riscontrato la stessa grafia nel retro di una foto dello stesso mio zio da piccolo insieme ad altri due suoi fratelli. Quindi qualcuno di famiglia che ha avuto l’esigenza di scrivere questa frase.
Quest’altra è la foto di cui parlava, è suo zio questo motociclista?

Si, e dietro c’è la caserma di cui le parlavo. Che sia quella la caserma dove sostavate prima di partire?
Beh, prima di partire avevamo cambiato caserma e siamo andati in quella di Via Chiesa Nuova, alla periferia di Padova, avevano fatto delle caserme nuove così ci avevano spostati dal 120 di Via S. Benedetto a questi edifici nuovi.

Potrebbe essere uno di quegli edifici dunque?
Non saprei con certezza, è sicuro che erano degli edifici moderni, strutture basse, fatte ad un piano quindi potrebbe coincidere dalla tipologia di costruzione che vedo su questa foto.

Si continua a guardare le foto, lui le mie io quelle in suo possesso, per la verità nessuna che riguardasse il 120°.

Ne aveva tante di foto sulla Russia.

Beh, sono le foto che mia zia ha custodito con cura senza mai mostrarle. Non c’era mai stata l’occasione di visionarle prima, credo che fossero in pochi a sapere della loro esistenza, probabilmente molti dei suoi fratelli non le conoscevano.

Si prosegue con i commenti

Il 626 cosa trasportava?
Il materiale di riserva, i soldati, i viveri, tutto quello che in guerra può servire e poi trainavano anche i cannoni, facevano la guerra insomma.
Gli autisti erano coinvolti nella guerra come tutti gli altri è per questo che a suo zio è stato dato anche l’encomio.

Io mi ero fatto un’altra idea, pensavo che, facendo parte del reparto comando, non avesse vissuto la guerra in prima linea ma che fosse nelle retrovie e in qualche modo imboscato.
No, assolutamente, anche io ero nel reparto comando ma ero di quelli che andavano in linea. C’erano altri che rimanevano in batteria ma io ero in prima linea con i bersaglieri. Ho fatto il mio servizio con i bersaglieri ecco perché sono loro affezionato, ho vissuto con loro nei bunker sul Don.

Come mai del 120 non si trovano notizie nella storia ufficiale? Ho avuto molta difficoltà nel reperire informazioni sul reggimento.
Beh, non saprei le ragioni, certo è che la storia del 120° non è stata ancora scritta.

Si torna sulle foto di Bassi si trova un riscontro a riguardo della foto con i cumuli di carbone a piramide

Questa è una foto di un cumulo di carbone e qui si vede bene questa cabina al culmine della piramide.
Come vede abbiamo un riscontro immediato su cosa sia la torretta all’apice del cumulo, non so esattamente che funzione avesse, probabilmente per gestire il carbone dall’alto.

Il Bassi nota che nel Foglio Matricolare viene citato il 20° reggimento artiglieria.

Questa citazione del 20° artiglieria non è un errore di trascrizione, in effetti il 120° era nato da una costola del 20° artiglieria. Eravamo nella riviera S. Benedetto, vicino la chiesa omonima, sede del 20° reggimento artiglieria.

Lei faceva parte del 120° in quel periodo quindi.
Si.

Il 120° non ha acquisito altri reparti oltre al 20°?
No. È nato ex novo.

Come mai si chiama 120°?
Probabilmente perché è nato da una costola del 120.

Si continua a leggere i documenti e a consultare le foto

Qui dichiarano la presunta morte di suo zio al 31 dicembre 1942.

Si, credo che quella data sia molto poco indicativa ed imprecisa. In queste foto ci sono anche scatti al 120°?
Per la maggior parte sono varie, sono foto che ho raccolto con il tempo da vari amici ed appassionati della campagna di Russia, con queste foto abbiamo fatto una mostra. Ci sono diversi appassionati, magari persone che hanno avuto un parente coinvolto nella guerra, che fanno iniziative in memoria dei caduti. A Tencarola si tiene un concerto della famiglia del dott. Dal Zotto (http://www.cmp.unipd.it/concentu/concerti/concer50.htm), un tenente medico, Giovanni Dal Zotto, anche lui scomparso in terra di Russia. I familiari, ogni anno, organizzano questo concerto in suo ricordo, la data é il 21 novembre (in verità il 23 novembre nel 2002 ndr.).
Ritornando alle foto: ne abbiamo 120 e siamo disposti a prestarle per chi fosse interessato a farne una mostra.

Se lei ha interesse a che vengano divulgate, ho in progetto di costruire un sito internet sul 120°.
Io ci tengo a che vengano divulgate. Queste sono le foto del dott. Clementi che avendo fatto la guerra con la Celere partendo dalla Romania. Gli sarebbe spettato, in dicembre, l’avvicendamento e invece, la sfortuna ha voluto che venisse fatto prigioniero. Al momento queste foto le utilizziamo per il nostro notiziario dell’Unirr che tiene in collegamento i reduci.

Com’è organizzata l’associazione Unirr?
Dove sono presenti, di solito, è gestita da volontari. A Milano per esempio funziona bene. L’associazione ha una rivista bimestrale, avendo un costo di pubblicazione editoriale piuttosto elevato esce solo una volta ogni due mesi, l’associazione non ha molti fondi per sostentarsi.

Quali sono le attività dell’associazione, organizzano viaggi nei luoghi di guerra, incontri o altro?
Di solito i viaggi vengono organizzati da Cargnacco.

Questa è la posta.
La cartoline della posta militare 40.

In una delle lettere c’è un aspetto curioso. Si scriveva con un suo cugino, che tra l’altro non conosceva nemmeno tanto bene, che era stato fatto prigioniero in Africa. In sostanza scrive alla madre di questo cugino chiedendole di scriverle lei perchè pare che le lettere che lui gli scriveva, dalla posta militare 40, non arrivavano a destinazione nel campo di prigionia in Africa.
É tornato dall’Africa questo cugino?

Non so con esattezza ma credo di si.

Si scatta una foto ricordo

Con quale frequenza vi facevate le fotografie?
Chi era appassionato di fotografia aveva macchine fotografiche proprie. Per esempio, il dott. Clementi aveva una collezione completa di foto, io quando posso le raccolgo, questo mi permette di arricchire l’archivio. Al momento abbiamo 120 foto ingrandite 20×30 cm già incorniciate. La cosa è nata insieme ad un appassionato della vicenda della Russia. È un falegname, è lui che ha incorniciato le foto e le custodisce.

Prima mi chiedeva di chi avesse scritto sul 120°, il colonnello Carloni scrisse del reggimento, lui era dei bersaglieri (il Carloni in verità cita il 120° nel suo libro, lo fa in più punti ma non parla mai in maniera dettagliata del 120° come reggimento si limita a citarlo perché il 120° era l’artiglieria divisionale della Divisione Celere ndr.).

Ha scritto qualcosa sulla Russia?
Ho scritto un diario, sarebbe già pronto per la pubblicazione. Ho comunque scritto molti articoli pubblicati in vari giornali e riviste. Appena tornato, ho cominciato a scrivere sulla mia esperienza.

Della sua prigionia non abbiamo ancora mai parlato, almeno non approfonditamente.
Beh sono stato uno dei pochi ad avere la fortuna di tornare. Reginato, che era medico, mi disse che ero stato uno dei cinque che non aveva avuto la necessità di avere le sue cure.

Cioè lei non si mai ammalato?
No, mai ammalato. Vede? Questa è la sua dedica scrive, all’amico che “non ha avuto bisogno delle mie cure”.

“Anni di prigionia” di Reginato, non l’ho ancora letto questo libro.
Questa è una prima edizione ma ce ne sono state altre. Reginato è stato uno dei primi prigionieri ad essere stato catturato, era del Monte Cervino. Era di Santa Bona di Treviso. È stato fatto prigioniero ad Orbatovo (forse Arbatovo ndr.) il 28 aprile del 1942, era medico.

Quindi quando vi hanno preso vi hanno subito divisi tra ufficiali e soldati?
Hanno incominciato durante le marce (del davaj ndr.) mettendo gli ufficiali da una parte e i soldati dall’altra. I soldati ci dicevano di stare attenti a non dire di essere ufficiali perchè girava voce che gli ufficiali venissero passati alle armi. Mi ricordo che durante le marce ci siamo separati un paio di volte e siamo usciti a questa richiesta dei russi, ma poi ci siamo accorti che il trattamento era il medesimo per entrambi. Anche nei campi di prigionia il vitto era uguale per gli uni e per gli altri, al lavoro ci andavamo noi come ci andavano loro. Noi eravamo più attivi politicamente, abbiamo fatto gli scioperi della fame per esempio. Nel protestare, forse, eravamo più coesi rispetto ai soldati.

Qul era la condizione dei soldati rispetto alla vostra situazione?
Anche nel nostro campo di Sudzal c’erano soldati, erano oltre un centinaio ed erano addetti ai lavori nel campo, andavano fuori in campagna, cose che anche noi facevamo.

Sostanzialmente il vostro tempo veniva occupato nei lavori forzati?
Durante l’inverno ci facevano spalare la neve intorno al campo, oppure a sgombrare il campo dagli alberi, il monastero era enorme.

Mi mostra il depliant del monastero di Sudzal che attualmente è visitabile per la sua importanza storica ed artistica nochè per essere stato il campo di prigionia dei soldati Italiani e di Von Paulus.

Questa è la foto del monastero e dentro ci sono alcuni miei disegni.

È stata una cosa casuale il fatto di veder pubblicati i suoi disegni nel depliant?
Sono in contatto con la direttrice del museo, siamo in corrispondenza, sono stato invitato con altri tre reduci a visitare il monastero.
Il monastero era ed è grandioso, era costituito da mura molto alte ed aveva un torrione di ingresso piuttosto imponente. Dalla finestra vedevo la chiesa, sono stati tre anni e mezzo di prigionia.

I disegni li ha fatti in prigionia?
No, li ho ricostruiti a memoria perché avevo conservato degli appunti.

Avevate la possibilità di scrivere, di disegnare?
Non proprio, avevo un “mozzicone” di matita piccolo, non avevamo altro. Il commissario politico, un comunista italiano (ogni campo aveva un fuoriuscito comunista italiano).

Cosa si intende per fuoriuscito?
Un antifascista comunista. Molti dei fuoriusciti avevano fatto la guerra di Spagna nel ’36-’37, dalla Russia erano andati a combattere in Spagna. Il nostro fuoriuscito del campo era un certo Rizzoli di Bologna. D’Onofrio e i “capoccioni” erano a Mosca, dove dirigevano la radio, avevano le pubblicazioni di propaganda.

Per Radio scarpa cosa si intende?
In Italia e tra noi soldati si diceva “Radio scarpa dice…” per indicare le voci che si diffondono senza ufficialità, un modo ironico di etichettare certe notizie non ufficiali.

Mi resta difficile riuscire a capire come mai gli italiani fuoriusciti non sentissero comunque l’esigenza di aiutare altri italiani anche se prigionieri di guerra.
Loro sapevano che noi avevamo fatto la guerra fascista, era in qualche modo naturale.

Quindi il fattore politico era talmente radicato che non si riusciva a superarlo?
Altrochè. I nostri fuoriusciti sono stati quelli che ci hanno interrogato. Il processo D’Onofrio del 1948 ci fu proprio per una nostra denuncia. Negli interrogatori ci minacciava, erano interrogazioni di ore.

Ma quali erano le reali domande che venivano fatte?
Saper tutto sulla vita del prigioniero. Cominciavano come di rito con la prima domanda “kake famiglie”, come ti chiami? Questo rende l’idea del tipo di interrogatorio, cercavano tutte le notizie possibili. Il comunista italiano faceva gli interessi dei russi e non difendevano mai gli italiani, erano sempre al servizio del partito comunista, al servizio della Russia.

Non le sembra che forse in quelle circostanze erano comunque costretti a perseguire un ruolo essendo fuori dall’Italia?
Sia chiaro, io, in qualche modo, li giustifico perché erano alla mercè delle organizzazioni comuniste.

Negli interrogatori c’erano anche i traduttori?
Si, ne ricordo uno di Firenze che era con i russi. Quando fui interrogato io c’era un Colonnello russo che sapeva benissimo l’italiano, perchè era stato un console a Genova, e il fiorentino presenziava al suo fianco ma era il colonnello ad interrogarci, lui si limitava ad ascoltare.

Anche volendo non avrebbero potuto fare le parti dei loro connazionali.
Avevano le mani legate, dovevano fare gli interessi dei russi, questo lo capivamo ma con noi avrebbero potuto ogni tanto parlare liberamente perché sapevano che noi non avremmo mai riferito nulla.

Quindi non si sono mai sciolti con voi in maniera confidenziale.
No, assolutamente, mi ricordo che un giorno, tornando dal lavoro, eravamo incolonnati per quattro. Un tale, un prigioniero, ha visto una fogliolina di insalata selvatica sul campo, una delle prime foglie che si cominciavano a intravedere in primavera, e si è chinato per prenderla per mangiarla, la fame era all’ordine del giorno, tutto faceva brodo, il russo, siccome il prigioniero aveva fatto un passo fuori dalle righe, gli ha sparato con un colpo secco, visto che erano sempre pronti con il fucile spianato. Noi ci indignammo e quando rientrammo ci lamentammo con forza con il nostro fuoriuscito di questo vile comportamento riportando la nostra sfiducia verso i soldati russi e verso questo tipo di assurdo comportamento.

E lui?
E lui disse “otterremo giustizia”. Invece poi, quale giustizia? Venimmo a sapere che ai russi disse che avevano fatto bene, secondo l’accusa il prigioniero aveva tentato di fuggire.

E di fuggire dove?
Dove appunto!? E di giorno per giunta. Dove sarebbe mai potuto andare? Le distanze erano tali che era impossibile fuggire senza che nessuno sapesse niente. C’erano stati dei rumeni che avevan tentato la fuga, in effetti fuggirono indossando divise russe ma in Russia la polizia locale era talmente capillare che non si poteva uscire da un paese se non aveva un lasciapassare. Sulla popolazione c’era una cappa di piombo ossessionante per cui non si poteva eludere il controllo. Anche questi rumeni, pur conoscendo il russo e pur essendosi procurati divise russe, furono presi e si fecero un mese a pane e acqua e non so se riuscirono a sopravvivere in quelle condizioni di fame.

Il racconto che fece l’amico di mio zio, che riuscì a tornare e che si recò a casa dei miei nonni appena tornò dalla prigionia, non era plausibile. Lui raccontò di essere fuggito.
Non scappava nessuno dalla Russia.

In effetti questo, allora, ragazzo è tornato nel 1947…

Il Bassi prova a consultare gli elenchi degli 84.000 dispersi dal libro del Ministero (un librone rosso) per vedere il nome di mio zio poi mi spiega che a Cargnacco ne hanno copia ed hanno anche gli elenchi divisi per divisioni.

Cosa c’è di ufficiale intorno alla vicenda della Russia? Cerimonie, ricorrenze ecc…?
Noi ci riuniamo periodicamente alla cerimonia di Cargnacco, a Padova si faceva una messa annuale e si fa ancora in novembre a Tencarola, dovrebbe essere la terza domenica di novembre.

Ritornando al tema del processo D’Onofrio mi è capitato, leggendo su un libro pubblicato in internet, di un passo dove la citarono in merito al processo.
Una delle prime lettere scritte su D’Onofrio è stata la mia. Ci siamo, contemporaneamente, io e il dott. Pugliese, trovati a scrivere su una rubrica del Tempo di Roma, non ricordo esattamente il titolo che aveva a che fare con il “rosso e nero” o “tempo Rosso”. La scintilla partì proprio da quegli scritti pubblicati sul Tempo.

Leggo le testuali parole citate nel documento: Giuseppe Bassi accusava D’Onofrio di essere un agente della N.K.V.D.; e ricordava come il ten. Nannini portato nel 1942 nel carcere di Lubianka «durante ripetuti ed estenuanti interrogatori, minacciato di morte, bendato, ebbe perfino la pistola puntata alla tempia e poi, nell’attesa della morte, udì lo sparo… ma non l’avevano ucciso, l’avevano risparmiato perché volevano sapere notizie di carattere militare» si ricorda di questo testo?
Si certo, è la mia lettera.

Aggiungeva il Bassi: «Sappia il D’Onofrio che conosciamo benissimo quei pochi ufficiali che passarono dopo breve crisi di coscienza e di «stomaco»
Questo è il materiale che avevo incominciato a scrivere quando sono tornato…

 Mi mostra articoli, rilegati, pubblicati in vari giornali

Com’è stato l’incontro con i familiari? Sapevano del suo ritorno o è stata una sorpresa?
No, sapevano del mio ritorno, sapevano che ero stato fatto prigioniero.

Dopo quanti anni l’hanno saputo?
L’ultima lettera arrivò alla mia famiglia in agosto, noi la scrivemmo ad Oranki in marzo 1943, ci diedero la possibilità di scrivere una lettera ai nostri familiari. Misi anche tre indirizzi di miei amici del 120°, la lettera arrivò a casa di un amico di Bologna così i miei seppero che ero prigioniero. Naturalmente ci siamo consultati prima di scriverla, ci dicemmo che sarebbe stato il caso di scrivere che non eravamo trattati male dai russi. Con il tifo che c’era stato c’era stata tanta mortalità. Guareschi in un numero di “Candido”. Una sera, tornando da Padova, acquisto la mia solita copia de “Il Candido” e vedo due pagine con i miei disegni. All’epoca avevo tutti i numeri del Candido, le mie sorelle in seguito le buttarono via per fare spazio, in effetti stava diventando piuttosto ingombrante, purtroppo non lo misi da parte e persi il numero dove erano pubblicati i miei disegni.

Si guardano riproduzioni dei disegni

Queste erano le stanze con i letti?
Si, questi erano i castelli dove si dormiva.

Questo invece era il rancio?
Si, il ranci che veniva distribuito.

Si legge un ordine del giorno del Generale Messe, un testo che mandò alle famiglie di tutti i soldati che erano al fronte

Messe si è sempre ricordato dei suoi soldati in Russia. Più lui di Gariboldi. Messe è tornato dalla Russia perché fu sostituito. Io l’ho conosciuto in Russia poi l’ho rivisto a Padova, gli scrissi una lettera a seguito di un suo articolo apparso su “L’Europeo” mi pare.

Si torna sui disegni

Le sembrerà banale ma i suoi disegni sono molto utili per capire come erano fatti i luoghi in cui siete vissuti. Quando si legge la storia, almeno per quel che mi riguarda, si fa molta fatica a ricostruire mentalmente certe situazioni e lo scenario in cui i fatti si sono svolti. Per me è fondamentale avere un’idea esatta dell’aspetto fisico dell’ambiente. Per esempio vedere qui disegnati i bunker rende l’idea di come fossero strutturati e questo rende maggiormente l’idea di quali fossero le reali condizioni di vita al loro interno.
I bunker li scavavamo noi.

Quanto ci voleva e come si faceva?
I prigionieri erano tanti, si scavava con la vanga. I romeni che stavano scavando il campo, vicino ad Oranky, avevano fatto queste buche sottoterra che i russi avevano richiesto per ampliare il campo che non riusciva a contenere tutti i prigionieri.

C’erano parti in muratura?
No, quale muratura!? Era una buca con un tetto che poggiava per terra ai lati della buca. Il tetto era ramaglia di piante ricoperto con un telo da tenda quando pioveva, sotto o in mezzo al “frascume”.

Le capita di scrivere ancora sulla vicenda?
Devo dire che più delle volte, in passato, scrivevo in polemica con gli articoli che trattavano il tema per puntualizzare o contraddire le notizie scritte.

Si parla dei libri e scritti sulla Russia. Ci si scambia pareri sui libri di Corradi, Lugaresi appassionato degli alpini e rappresentante sulla stampa della voce degli alpini, Tomaselli, Franzoni, Rigoni Stern e sulle motivazioni del successo del Sergente sulla neve, uno dei libri di maggior successo.

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