Autore: Carlo Vicentini | Milano | Ed. Mursia,1986
- Recensione di Achille Omar Di Leonardo
Quando settantamila italiani passarono il Don
Pur essendo l’ennesimo rapporto da alpino e degli alpini, Carlo Vicentini, sottotenente di complemento del battaglione sciatori “Monte Cervino”, scrive questo libro con uno spirito certamente diverso dalle usuali testimonianze sul fronte russo. Un libro duro, spesso polemico, a tratti anche scostante. Ma questa non è una nota di demerito, anzi: a fine lettura quella stana sensazione di apparente “petulante narrativa” si rischiara e ne comprendiamo i perchè. Con quella “lieve” punta di presunzione alpina, racconta i fatti sotto la spinta di quello spirito di gruppo che li accomuna tutti. La sua esposizione non tralascia nulla: dall’entusiasmo iniziale a quello della disfatta, dalla cattura alla dura vita-sopravvivenza della prigionia. Sembrerebbe il libro ideale per una trasposizione cinematografica pieno di particolari, di dialoghi e di scene ben riportate. Un racconto che non tende a volere commuovere nè a far provare commiserazione, un libro secco, consistente, sviluppato sui fatti, che lascia ampio spazio al giudizio del lettore. Quando racconta della prigionia l’autore diventa particolarmente duro verso il regime sovietico, per quell’inumano modo di trattare i prigionieri di guerra e la sua (per dirla alla Giuseppe Bassi) “disorganizzata organizzazione”. Nell’ultima parte del libro, particolarmente toccante (forse uno dei passi più belli di testimonianze sulla guerra al fronte russo) Vicentini racconta, concentrando in poche pagine, il ritorno in Italia. L’incontro con la famiglia è scritto con estremo pudore e lascia subito spazio alle sue ultime sentenze (bellissime) sul “Reduce” un autentico manifesto che varrebbe la pena pubblicare su questo sito: “Chi torna dalla guerra non è più l’uomo di prima, è un altro individuo, è diverso” e ancora “É un uomo tollerante, quasi indifferente”. Un libro che certamente lascia il suo segno.