Autore: Gino Papuli | Terni | Ed. Thyrus,1991
- Nota introduttiva dell’autore Gino Papuli
Nota introduttiva al libro “il labirinto di ghiaccio”
Rievocare episodi accaduti tanto tempo fa e già descritti in pubblicazioni anteriori può sembrare inutile, e forse lo è.
D’altra parte, i tragici avvenimenti legati alla ritirata del Corpo di Spedizione italiano in Russia, nell’inverno 1942-93, sono di tale portata storica ed umana da giustificare anche chi – come me – ha atteso oltre quarant’anni per parlare della propria diretta partecipazione.
Ho cercato di mettere a frutto il tempo trascorso per spogliare i fatti dai veli del sentimento e dalle ombre della retorica, lasciando in evidenza il dramma di coloro che – alimentati sin dall’infanzia con l’ideologia del fascismo – si trovarono, giovanissimi, ad affrontare eventi tanto più grandi di loro, nella fase più tragica e definitiva della guerra sul Fronte dell’Est.
La narrazione prescinde da argomentazioni strategiche e tattiche che (che a quel momento ci erano per lo più ignote e la cui sintesi, per informazione del lettore, è riportata nella nota storica di appendice) e si inquadra nelle gesta misconosciute di una “formazione spontanea” – la cosiddetta “Colonna Carloni” – che svolse funzione di retroguardia nel ripiegamento del “Blocco Sud” riuscendo a sfuggire – pur con gravi perdite – all’accerchiamento delle forze sovietiche.
La massiccia preminenza degli eventi mi ha fatto anche trascurare di soffermarmi a descrivere le persone citate, la cui individualità è stata – in effetti – quasi sempre assorbita dal contesto corale. Così facendo, ho potuto rispettare con fedeltà la struttura degli appunti presi all’epoca.
Il contenuto di questo lavoro è – dunque – inevitabilmente episodico e temporalmente limitato. Altri – per esempio gli amputati per il congelamento o i reduci dalla prigionia – potranno dire, con pieno diritto, di aver avuto vicissitudini di esito più drammatico dal punto di vista personale e più toccanti sul piano delle sofferenze.
Il mio racconto non offre primati di orrori né può essere presto come esempio assoluto delle atrocità senza limiti della guerra: esso intende semplicemente riportare fatti e nomi di una realtà vissuta, nel pieno rispetto della verità, anche della verità scomoda.
Non mi piacciono le dedicazioni. Se, però, in questo caso dovessi fare un’eccezione, non dedicherei questo racconto né ai genitori – morti da tempo – bensì ai miei coetanei: a quelli rimasti per sempre ventenni in terra di Russia e a quelli la cui sorte ha concesso (non impunemente) di sopravvivere.